I luoghi più belli da visitare in Marocco

I luoghi più belli da visitare in Marocco

Tangeri, la città meticcia di Matisse

“Mi sono messo al lavoro e non sono troppo insoddisfatto…, la luce è così morbida, è molto diversa da quella del Mediterraneo”. (Henri Matisse, 1 marzo 1912)

Per due inverni consecutivi (1912 e 1913), il pittore Matisse vive a Tangeri. All’epoca era nel fiore degli anni e cercava di semplificare la sua pittura. Questi due soggiorni lo aiutarono, secondo le sue stesse parole, a “riprendere contatto con la natura”.

Tangeri, situata nel nord del Marocco, all’ingresso dello Stretto di Gibilterra, è stata a lungo un rifugio per molti intellettuali e artisti: Alexandre Dumas, Truman Capote, Jean Genet, Joseph Kessel, Paul Morand, Tennessee Williams e, naturalmente, scrittori della Beat Generation come William Burroughs e Paul Bowles?

La più antica città del Nord Africa, la sua medina, la sua kasbah e il suo bazar sono tra i più popolari del Paese. Città cosmopolita con un piede nel Mediterraneo e l’altro nell’Atlantico, continua ad affascinare i visitatori, soprattutto il jet-set internazionale.

Oggi Tangeri rimane una città di scambi con molti volti. Qui si parlano arabo, berbero, spagnolo e francese. Testimone di questo multilinguismo è il suo Grand Socco, così splendidamente descritto da Joseph Kessel nel suo romanzo Au Grand Socco. Quest’opera colorata è stata scritta dopo che lo scrittore aveva trascorso due mesi nella città portuale due anni prima.

Ma il letterato non limitò Tangeri al suo lato orientalista; seppe anche passeggiare lungo la costa fino alle grotte di Hercule e al marabout di Sidi Kacem, vestigia di un’epoca passata in cui le donne facevano il bagno nude tra le onde.

Chefchaouen, Marocco blu

Arroccata ai piedi del Rif, a 600 metri di altitudine, “Chaouène”, come la chiamano i marocchini, coltiva l’indolenza come ornamento della sua bellezza. Andalusa fino al midollo, le sue case blu salato hanno sempre catturato l’immaginazione degli acquerellisti.

Figura emblematica di Chefchaouen, il pittore-fotografo Mohamed Hakoun nutre un amore incondizionato per la sua città natale. Formatosi come fabbro ferraio, un giorno decise di lasciare tutto per dedicarsi anima e corpo alla città in cui era cresciuto. Nella sua casa, oggi museo, sono esposte migliaia di fotografie, dalle prime istantanee scattate negli anni Venti, durante il periodo coloniale spagnolo, fino ai giorni nostri, senza dimenticare, naturalmente, i dipinti del maestro.

Ma vivere Chaouen è soprattutto lasciarsi guidare dagli incontri casuali lungo le sue stradine e le sue scalinate, in una cornice di muri imbiancati a calce in infinite tonalità di blu, tra piante verdi, ceramiche e ringhiere in ferro battuto. Una passeggiata un po’ “fuori dal tempo” che vi porterà quasi incondizionatamente alla piazza Outa-el-Hammam, dove sorge l’imponente Kasbah. Il luogo ideale per sorseggiare un tè alla menta sulla terrazza mentre si dispiega una mappa prima di esplorare i dintorni.

Non mancano nemmeno le attrazioni nelle vicinanze, come la sorgente ras-el-maa che rifornisce la medina di acqua potabile, le cascate e la rinfrescante piscina naturale del villaggio di Akchour, il “Ponte di Dio” (un gradito cambiamento rispetto ai nostri “Ponti del Diavolo”), un arco naturale alto 25 metri, o il Parco Nazionale di Talassemtane, con la sua incredibile biodiversità e gli abbondanti sentieri escursionistici.

Rabat, la città dei principi

Scelta da Lyautey come centro amministrativo del Protettorato francese, Rabat conserva l’immagine di una città saggia e cosmopolita. Con i suoi ampi viali fiancheggiati qua e là da splendidi edifici Art Déco, i suoi parchi e giardini, Rabat, Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO dal 2012 per l’omogeneità del suo tessuto urbano, si erge in modo esemplare con edifici risalenti al XII secolo.

A Rabat, ogni quartiere ha conservato la propria identità. Avendo conservato, e persino arricchito, gli elementi architettonici e decorativi delle dinastie precedenti, la città offre oggi ai passanti il risultato di un originale e raffinato sincretismo tra culture antiche, islamiche, andaluse ed europee.

La Kasbah di Oudaïa, ad esempio, è uno spettacolo da vedere. Costruita alla foce dell’Oued Bou Regreg, questa fortezza, di cui ancora oggi si può ammirare la porta principale, risale al XII secolo. Serviva come base posteriore per gli eserciti di Yacoub el-Mansour quando partirono alla conquista dell’Andalusia.

Molto meno imponente di Fez o Marrakech, la medina di Rabat, creata dai Mori (andalusi espulsi dalla Spagna nel XVII secolo), è un luogo incantevole in cui fermarsi. Dopo aver attraversato il souk Sebt e il mellah (quartiere ebraico), si arriva alla Rue des Consuls, dove, per quasi un chilometro, si trovano numerosi negozi di artigianato che vendono tappeti, ceramiche, erba sparto, cestini, gioielli in ottone e argento.

Fez, gioiello imperiale

Gioiello tra i gioielli, Fez è un mondo a sé. Erede della cultura andalusa, la città imperiale rimane uno dei centri religiosi più importanti del Marocco. La città è stata definita la “Gerusalemme d’Occidente” e l'”Atene d’Africa”, perché l’erudizione di Fez non lascia indifferenti.

Alcuni direbbero che la sua medina è un vero e proprio labirinto, con molti vicoli ciechi. Noi gli crediamo. Altri dicono che basta un po’ di buon senso e, soprattutto, una buona bussola per orientarsi. Comunque sia, Fez vale la pena di essere visitata, sia da chi viaggia con lo zaino in spalla, sia da chi ha un piano da “mille e una notte” in un affascinante riad.

Come molte medine, Fez è divisa in drouba (quartieri). Ogni derb ha la sua moschea e i suoi servizi (fontana per le abluzioni, bagni pubblici), la medersa (scuola coranica), il forno comune, la fontana dell’acqua chiara e l’hammam. Il tutto gravita più o meno intorno al Qaraouiyin, noto per ospitare una delle più antiche università del mondo, risalente alla metà del IX secolo! L’unico problema è che da quando Lyautey ha vietato ai non musulmani di entrare nelle moschee marocchine, molti turisti si sono dovuti accontentare di dare un’occhiata all’esterno. Lo stesso vale per il mausoleo di Moulay Idriss, patrono della città.

Fortunatamente, oltre ai suoi souk artigianali (ramai, lattonieri, gioiellieri, boisselier, pellettieri, ricamatori, rilegatori, ecc.) e alle sue famose concerie (un piacere da vedere e annusare), Fez è piena di medere, veri capolavori dell’arte merinide (XIV secolo), costruite nel più puro stile ispano-moresco.

Fès è famosa anche per la produzione di ceramiche. È facilmente riconoscibile per il suo colore dominante blu cobalto, anche se oggi, sulla spinta dell’amore del pubblico per le stoviglie, sono nate creazioni più contemporanee. Il Museo Al Batha espone alcuni pezzi antichi di pregio.

Ifrane, la Svizzera africana e le sue foreste di cedri

Nel cuore di quella che i geografi chiamano “la torre d’acqua del Marocco”, le foreste di cedri della regione di Ifrane costituiscono un biotopo senza eguali.

Da Ifrane, che i marocchini si sono affrettati a soprannominare “la Svizzera marocchina” per la spessa coltre di neve che ricopre la regione in alcuni inverni (Ifrane è, insieme a Oukaïmeden, una delle due principali stazioni di sport invernali del Marocco), una piccola e tortuosa strada si snoda attraverso la foresta di cedri fino al villaggio di ain Leuh.

Oltre a magnifici esemplari di cedro, alcuni dei quali possono raggiungere gli 8 metri di circonferenza, non è raro imbattersi in un ospite piuttosto divertente: la scimmia magot. Dalla scomparsa dell’ultimo leone dell’Atlante (nel 1921) e della pantera (stimata nel 1994), questo piccolo macaco ha proliferato (la sua popolazione è attualmente stimata tra i 10.000 e i 15.000 individui).

Creato nel 2014, il Parco nazionale di Ifrane è particolarmente adatto alle escursioni.  Tra fitte foreste di lecci e cedri, sorgenti, grotte e laghi d’alta quota, la regione è frequentata anche da pastori seminomadi e dalle loro mandrie. È un’occasione di incontri insoliti, in un mondo ancora incontaminato dal turismo di massa.

Le cascate di Ouzoud, ovvero l’acqua ritrovata

Le cascate di Ouzoud sono uno dei siti naturali più spettacolari del Marocco. Nel punto più alto, le acque del wadi Ouzoud scendono a cascata attraverso un uliveto secolare, prima di precipitare improvvisamente a più di 100 metri di profondità con un fragore assordante (tranne, ovviamente, alla fine della stagione secca). È un luogo di ritrovo per la gente del posto, che viene qui per una nuotata e un picnic in famiglia nei caldi mesi estivi.

Nel sito si trovano una serie di piccole e semplici gole di fronte alle cascate. È l’occasione perfetta per gustare un buon tagine o un tè alla menta prima di proseguire verso i piedi delle cascate, dove si trovano le gigantesche voragini per un tuffo, se ne avete voglia. Naturalmente, non vi sentirete a casa vostra in estate, ma al di fuori dei ponti e dei fine settimana, il luogo è ancora magnifico.

La parte inferiore delle cascate si presta a numerose escursioni, soprattutto al canyon di Oued el Abid o al villaggio di Tanaghmelt, con il suo labirinto di stradine e la sua zaouïa risalente ai primi tempi dell’Islam nella regione. Il viaggiatore avventuroso con lo zaino in spalla non avrà difficoltà a trovare alloggio nella zona, sia in campeggio che presso la gente del posto (chiedere alle cascate).

Il souk di Marrakech, uno sguardo al commercio

Ci sono molti modi per avvicinarsi al souk di Marrakech. Si può andare in pantaloncini e canottiera, con una banana legata alla pancia, preferibilmente a metà pomeriggio per non essere disturbati? Oppure vestirsi come tutti gli altri e lasciarsi assorbire dal flusso di persone che entrano nel souk alla fine della giornata, prima della penultima preghiera, quando le casalinghe escono a fare la spesa.

Il souk assume allora due volti diversi. Se si sceglie la prima opzione, si rischia di perdersi qualcosa, ovvero l’incontro con una città antica che è facile immaginare, vista l’atmosfera, i colori e i profumi che ancora adornano le tante bancarelle che costellano la parte centrale del souk.

Nella seconda opzione (la nostra scelta, come avrete capito), invece, bisogna lasciarsi andare, affidarsi alla casualità dell’incontro e, come una farfalla, svolazzare tra le bancarelle nelle strette vie, per finire, dopo la penultima preghiera, in piazza Djemaa el-Fna, e sedersi a gustare delle brochettes-frites, un pesce alla griglia o un piatto di lumache per i più avventurosi. Come si vede, il souk di Marrakech è un’esperienza quasi esistenziale…

Essaouira, la ben progettata

Famosa oggi per il mega-festival musicale Gnaoua che ospita ogni giugno, Essaouira è una città a parte. Esattamente a metà strada tra il paese degli haha (berberi) e quello dei chiadma (arabi), la città ha sempre coltivato il suo carattere meticcio, tanto che negli anni ’70 vi si stabilirono molti hippy.

Oggi Essaouira, che ha beneficiato di un lifting negli ultimi anni, non ha perso nulla della sua anima. Al viaggiatore autentico offre ancora il suo souk, con la sua dolce miscela di spruzzi di mare e aromi di legno di cedro, la sua medina (patrimonio mondiale dell’UNESCO) con le sue vivaci stradine e i suoi possenti bastioni, che le conferiscono l’aria di una Saint-Malo cherifiana.

Capitale del vento, l’antica Mogador (il suo vecchio nome in portoghese) è anche una tappa obbligata per gli appassionati di sport da tavola. Mentre l’estate fresca e ventosa è particolarmente apprezzata per il windsurf e il kitesurf, l’inverno mite e senza vento è più adatto al surf. La bassa stagione (aprile-maggio e ottobre-novembre) è il momento migliore per approfittare di questa città eccezionale, con i suoi numerosi fondouk (magazzini dei mercanti) costruiti nel XVIII secolo e oggi trasformati in hotel o pensioni.

Infine, Essaouira è anche un punto di partenza ideale per esplorare l’entroterra, dove diverse associazioni promuovono il ritorno al turismo sostenibile, con visite ai souk rurali (come Ida Ougourd) e ai frantoi tradizionali.

I misteri geologici dell’alta valle del Dades

Risalendo la valle di straordinaria bellezza da Boumalen-du-Dades verso Msemrir e l’altopiano di Imilchil, qualche chilometro prima del ponte che invita a cambiare sponda, si incontrano alcune formazioni geologiche molto originali. La gente del posto le chiama “dita di scimmia”. In realtà, si tratta di conglomerati scolpiti dall’erosione nel corso dei secoli.

In questo coacervo di rocce cremisi, a volte tinte di viola, sono sorte maestose kasbah di terra, testimoni di un’epoca in cui le popolazioni sedentarie dovevano proteggere i loro raccolti dall’assalto dei predoni del deserto.

Oggi l’alta valle del Dades è una meta di vacanza ideale per i contemplativi (molti pittori vengono qui a ritrarre i paesaggi) e gli sportivi. Locande di charme, arredate in stile locale, invitano i viaggiatori a lasciare le valigie per alcuni giorni o a organizzare una gita di un giorno con una guida locale per incontrare le tribù nomadi che pascolano le loro mandrie negli igoudlane (alpeggi regolamentati) arroccati sulle alture.

Questa colorata scoperta del paese berbero è particolarmente adatta alle famiglie, poiché l’alta valle del Dades, accampata a 1.700 m di altitudine, rimane abbastanza fresca anche in piena estate, quando la colonnina di mercurio sfiora i 45 gradi a Ouarzazate.

Ait Ben-Haddou, un vero set cinematografico

Lo ksar di Ait Ben-Haddou, con le sue sfumature di rosso contro il cielo blu, è stato a lungo una delle cartoline più popolari del Marocco. Se ci credete, è ancora appesa nell’angolo del lavello della cucina della nonna! Questo capolavoro in adobe, patrimonio dell’umanità dell’Unesco, non è nuovo alle luci della ribalta. Da Lawrence d’Arabia (1962) alla serie Game of Thrones (2013), senza dimenticare Il diamante del Nilo, Il tè nel Sahara, Il Gladiatore e Alexander, la polvere rossa dello ksar ha colorato l’élite di Hollywood!

Questo antico scalo sulla via carovaniera del deserto verso Marrakech è un vero gioiello di inventiva. Questo agglomerato di abitazioni, alcune delle quali risalgono al XVII secolo, è circondato da bastioni rinforzati da torri angolari e attraversato da una porta a forma di chicane, che rende difficile nascondere la sua vocazione difensiva! All’interno si trova un’organizzazione sociale molto sofisticata, basata sulla necessità di lavorare e immagazzinare i cereali, che lo rende senza dubbio il sito che offre una delle più complete panoramiche delle tecniche di costruzione e decorazione in adobe di qualsiasi regione pre-sahariana.

Oggi, naturalmente, ospita diverse kasbah tradizionali che sono state trasformate in guesthouse. L’ideale è arrivare a fine giornata e trascorrervi almeno una notte, per vivere la magia del risveglio “au bled”: il canto dei galli, le capre al pascolo, il pane caldo intinto nell’olio, il burro rancido, il qui-rit di mucca e il tè alla menta. Quasi un viaggio di iniziazione.

Il Toubkal: una scalata di 6.000 km nella terra del couscous

Il Marocco è un Paese dalle mille sfaccettature. Un giorno potete fare le fusa con il vostro partner, oziare all’ombra di un palmeto che circonda la piscina di un hotel di lusso a Marrakech, e il giorno dopo scalare il Jebel Toubkal al freddo e nel nevischio.

Ma non semplifichiamo troppo. Se le escursioni nei villaggi berberi intorno a Marrakech sono più o meno alla portata di tutti, la scalata del Toubkal è comunque un’esperienza di alta montagna, con tutta la preparazione fisica che un’ascesa del genere richiede per essere goduta al massimo. In breve, è meglio essere in buona forma fisica, e la scalata in infradito è fuori discussione!

L’ascesa alla vetta più alta del Marocco inizia sempre a Imlil, a circa 60 km a sud di Marrakech. In questo villaggio berbero a 1.740 m di altitudine, troverete guide alpine degne di questo nome. La prima notte viene solitamente trascorsa qui. È l’occasione per conoscere la guida e, se necessario, per completare l’equipaggiamento.

È anche una buona occasione per riscaldarsi prima di intraprendere la prima tappa dell’ascesa verso uno dei due rifugi situati in “dirittura d’arrivo” verso la vetta: il rifugio Toubkal, il più popolare, con il suo comfort spartano ma adeguato, o il rifugio Mouflons, più confortevole ma anche più costoso. Entrambi devono essere prenotati in anticipo.

Poi arriva il giorno tanto atteso. Ci si alza poco prima delle 4 del mattino, si fa un’abbondante colazione per sistemare lo stomaco e si parte in fila indiana nel buio per scrollarsi di dosso la ruggine. Dopo 4 ore, di solito, raggiungiamo la cima. Qualche selfie ben scelto. Poi arriva la parte più difficile: la discesa! Ci vogliono 8 ore per tornare a Imlil prima del tramonto, ma non prima di una sosta al rifugio per ricaricare le batterie.

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